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Schnitzler, Arthur (Vienna 1862-1931), drammaturgo e romanziere austriaco. Studiò medicina all'università di Vienna ed esercitò la professione fino al 1894, per poi dedicarsi completamente all'attività letteraria. Nel 1891 fondò il gruppo Jung-Wien, assieme al poeta e drammaturgo austriaco Hugo von Hofmannsthal e a numerosi altri scrittori.
Le opere di Schnitzler sono caratterizzate da un'analisi profonda e spietata delle motivazioni all'origine delle azioni umane; i temi di base sono costituiti dai rapporti sentimentali, dalle complicazioni della vita erotica e dalla paura della morte. In particolare, Schnitzler esaminò i problemi delle relazioni tra uomini e donne in opere teatrali quali Anatol (1893) e Girotondo (1897), da cui fu tratto il film La ronde (1950) di Max Ophuls, tutti ambientati in una realtà in stridente contrasto con la vita romantica della Vienna dell'epoca. Probabilmente l'opera maggiore di Schnitzler è il romanzo Verso la libertà (1908), un'analisi del fenomeno dell'antisemitismo prevalente in quei tempi, tema comune anche alla tragedia Il professor Bernhardi (1912). Col passare del tempo, fu sempre più ossessionato dalla paura della vecchiaia, come si intravede nei romanzi Beatrice (1913) e Il ritorno di Casanova (1918).
Schnitzler fu in stretto contatto con Sigmund Freud, con il quale condivideva molte idee in materia di medicina e psicologia. Fra le altre opere si ricordano Il pappagallo verde (1899), Il sottotenente Gustl (1901), La signorina Elsa (1924) e Doppio sogno (1925).
DOPPIO SOGNO
Traumnovelle di
Arthur Schnitzler, ovvero Doppio sogno, è un romanzo in bilico fra il sogno e
la realtà, nell’avventura immaginativa del protagonista, il medico
trentacinquenne Fridolin, sospinto verso situazioni nuove, e sempre insondate
fino in fondo, da un impellente desiderio di riscattarsi. A partire dalle
"due maschere in domino rosso" incontrate la sera prima a una festa,
il protagonista recupera nella memoria la "ragazza giovanissima" della
spiaggia in Danimarca, già annunciando il carattere più simbolico che reale
che lo porterà a una rassegna di incontri amorosi con la figlia di un paziente,
Marianne, "seduta ai piedi del letto" del padre appena deceduto, con
la "passeggiatrice" Mizzi, con la "pazza" Pierrette, con la
donna mascherata che si sarebbe "sacrificata" per lui in una segreta
villa libertina. Sono per lo più, lo si noti, figure giovani: la bagnante pare
al protagonista "giovanissima, forse quindicenne", Mizzi è "una
creatura graziosa, ancora molto giovane, pallidissima, le labbra tinte di
rossetto" e ha "diciassette" anni, Pierrette è una "ragazza
graziosa e giovanissima, quasi una bambina", Marianne "tre o quattro
anni fa, aveva ventitré anni", mentre la donna mascherata resta
anonimamente senza volto e senza età, "ombra fra le ombre", simile
"a una diciottenne come a una trentottenne".
Questo riferimento alle età delle ragazze è puntiglioso e assillante nella
mente del protagonista; e ben si comprende la causa se si tiene conto che la
crisi coniugale che lo induce a ricercare avventure sorge da un episodio
rivelatogli dalla moglie Albertine, la quale non ha più di ventotto anni, più
verosimilmente ventiquattro o venticinque:
"'Non riesco a capire' disse Fridolin. 'Avevi appena diciassette anni quando ci fidanzammo'.
'Sedici passati, Fridolin. Eppure…' lo guardò francamente negli occhi 'non dipese da me se divenni tua moglie ancora vergine'.
'Albertine…'
Ed ella raccontò:
'Fu nel Wörthersee, poco prima del nostro fidanzamento, Fridolin; una splendida sera d’estate un bellissimo giovane si fermò davanti alla mia finestra che guardava sull’ampia distesa del prato, ci mettemmo a parlare e durante quella conversazione pensai: che ragazzo simpatico e affascinante, – se dicesse ora una sola parola, quella giusta naturalmente … , – stanotte potrebbe avere da me tutto quel che vuole. … Ma l’incantevole giovane non pronunciò quella parola; mi baciò solo delicatamente la mano, – e il mattino successivo mi chiese se volevo diventare sua moglie. E io dissi di sì'."
È a questo punto che Fridolin esterna la propria gelosia, senza badare che quel giovane era lui. Egli associa la figura del "signore con la borsa da viaggio gialla sulla scala dell’albergo in Danimarca", che l’estate precedente aveva invaghito la moglie, con quella di se stesso ventenne: in entrambi i casi la moglie è stata attratta con un semplice sguardo da "un giovane", senza alcun contenuto intimo del guardato. Pensare che un giovane possa invaghire la propria moglie non è uno dei pensieri più felici di chi si ritiene fuori da quell’arco d’età; pensare che il solo aspetto esteriore possa esercitare un forte ascendente sulla moglie non è un pensiero gradito per chi le dimostra quotidianamente la propria intimità e vicinanza; scoprire, a anni di distanza, dei meccanismi mentali della moglie mette in discussione l’intimità e l’ascendente di due vite insieme. La domanda che Fridolin pone alla moglie è allora:
"'E se quella sera ci fosse stato per caso un altro davanti alla tua finestra e gli fosse venuta in mente la parola giusta, per esempio…' pensò a quale nome dovesse dire."
Quel
"pensò a quale nome dovesse dire" rivela come ciò che non sapeva
continua a non saperlo. Egli è quel giovane che non sapeva la parola magica che
gli avrebbe permesso di possedere Albertine prima del matrimonio: non la sapeva
allora e non la sa neppure ora a distanza di anni. Quella parola è rimasta per
tutto quel tempo nella mente della moglie senza che lui ne venisse a conoscenza.
In quella battuta del narratore si avverte subito una differenza di contenuto
fra sé e la moglie. Questo è solo uno degli indizi che rivelano la separazione
comunicativa fra sé e la moglie. La scena iniziale del romanzo lo rende ancora
più significativo, perché i due personaggi sono rimasti soli proprio per
comunicarsi l’un l’altra le proprie fantasie amorose suscitate dal ballo in
maschera della sera prima, con la speranza che una "sincera confessione
riuscisse a liberarli da una tensione e da una diffidenza che cominciavano a
diventare poco a poco insopportabili". Ma dalla conversazione risulta che
ognuno ha come vissuto separatamente quei momenti. Una volta rivelati essi
mettono in crisi le sicurezze del protagonista. E siccome la sicurezza di sé è
uno dei valori cui poggia l’amor proprio di Fridolin, egli sente la necessità
di riscattarsi dalla delusione suscitata dalle parole di Albertine.
La narrazione diventa allora un supporto del pensiero del protagonista, con un
narratore che non è equidistante dai personaggi e non è neppure onniscente
(per usare una terminologia critica). Infatti sbaglia, dicendo, per esempio, che
Mizzi è «una creatura graziosa, ancora molto giovane, pallidissima, le labbra
tinte di rossetto», per contraddirsi successivamente:
"Fridolin si accorse che le sue labbra non erano per nulla truccate, ma colorite di un rosso naturale e le fece un complimento.
'Perché dovrei truccarmi?' domandò. 'Quanti anni credi che abbia?'
'Venti?' tirò a indovinare Fridolin.
'Diciassette' rispose, si sedette sulle sue ginocchia e gli cinse la nuca con il braccio come una bambina."
Se si osserva
con attenzione, si nota che tutti quei personaggi femminili che esercitano un
ascendente sensuale sul protagonista sono in qualche misura delle figure
fragili, bisognose di protezione. Fridolin vuole essere l’eroe che le salva
dalla malattia (Marianne è "dimagrita negli ultimi tempi" e ha l'
"Acipite, probabilmente"; Mizzi potrebbe avere una malattia venerea;
Pierrette è una demente) e da un futuro incerto (Marianne è un’orfana che
non ama il fidanzato; Mizzi è una prostituta; Pierrette sembra venga
anch’essa prostituita in casa; la donna mascherata deve subire una tremenda
punizione forse mortale per averlo affrancato). Tutto avviene nella mente di
Fridolin, non in una oggettività della narrazione, al punto che Fridolin si
trova nella condizione di chi è pervaso da sensazioni che non gli danno modo di
ragionare con lucidità. Il percorso interiore del pensiero si fa allora una
sorta di giallo in cui tutto è da verificare all’esterno, e che, una volta
verificato parzialmente, assume connotazioni ancora più inquietanti, al punto
che il peggio assume quasi uno statuto di realtà.
Tutte quelle figure femminili che servono a compensare la perdita immaginata
della moglie diventano oggetto di un desiderio ulteriore, di rivalsa sociale, di
controllo della realtà circostante e del futuro. Ecco che Schnitzler impiega
allora situazioni poliziesche, da detective story. La sua attenzione alla
psicologia del protagonista (e non dei personaggi), fa sì che il lettore veda
la vicenda dal suo interno, senza però l’impiego del flusso di coscienza o di
altri meccanismi di descrizione e dilatazione del pensiero resi celebri da
Proust, Woolf e Joyce. Il suo romanzo psicologico si fa critica della detective
story, nella misura in cui il protagonista avverte sulla propria pelle il
brivido dell’investigazione. Tale brivido, con le incertezze che ne risultano,
tende a compromettere qualsiasi atto conoscitivo e a rendere l’azione meno
nobile dell’intento da cui scaturiva. Con Schnitzler si comprende che lo stato
d’animo del lettore di un giallo non è lo stesso di quello
dell’investigatore freddo e sicuro di sé che ne è protagonista (un nuovo
modello dell’eroe). Se questo è vero, l’immedesimazione del lettore in
Sherlock Holmes o nei tanti eroi gialli risulta falsata. L’antieroe di
Scnhitzler è l’uomo, a cui non basta risolvere un caso, perché la sua
ricerca è infinita.
Dalla dimensione erotica iniziale, l’autore viennese si sposta su motivazioni
meno superficiali, abbassando il livello del discorso dai valori sociali
(possedere tutte le belle donne del mondo) a moti d’animo irrisolti ed
essenzialmente individuali: il che differenzia l’apparire dall’essere nella
consapevolezza dell’uomo. Per cui lo scrittore austriaco indugia
meticolosamente sulle reazioni di Fridolin e della moglie Albertine,
evidenziando il carattere psicologico della comunicazione, e le interpretazioni
delle frasi nelle conversazioni. Se Albertine non è la coprotagonista della
vicenda, ma personaggio secondario, è al tempo stesso il personaggio più
importante dell’intera vicenda erotica di Fridolin. È lei che suscita,
attraverso i propri «tradimenti» virtuali, la gelosia del marito, troppo
orgoglioso per confessare di esserne stato profondamente toccato. Nei sette
capitoli che compongono il romanzo, Fridolin è sempre presente e il narratore
lo segue passo passo nei suoi vari spostamenti, allontanandolo poco a poco dalla
presenza della moglie, mentre Albertine è realmente presente in quattro
capitoli soltanto, in tre come antagonista diretta. Ma, di fatto, non v’è
capitolo che non la contenga, perché Fridolin, "senza sapere perché",
è "costretto a pensare a sua moglie".
La "gelosia" di Fridolin del I capitolo si fa nella sua mente
"amarezza" nel II, poi Albertine diventa traditrice nel III, mentre
nel IV capitolo è come un’estranea indifferente a lui, addirittura
"donna da conquistare", senza che il medico abbia rivisto nel
frattempo la moglie. L’immaginata estraneità della moglie si fa più
realistica quando la rivede, nel V capitolo, e le sue "labbra semiaperte,
segnate da ombre di dolore" gli fanno pensare che "era un volto a lui
sconosciuto", poi "i suoi tratti si deformarono stranamente" e
"Albertine aprì gli occhi, lentamente, a fatica, e lo guardò fisso, come
se non lo riconoscesse". Ha da lei prima una reazione di repulsione, poi
una nuova confessione, un sogno che lei ha fatto e in cui immagina di desiderare
la sofferenza e la morte di lui; solo a questo punto, a letto
"nell’ingannevole atmosfera della stanza matrimoniale", Albertine
diventa nella sua mente una nemica mortale:
"Una spada tra noi, pensò di nuovo. Poi: sdraiati fianco a fianco come nemici mortali."