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Esordì come poeta con: L'uomo è un grande giardino (1953), Monologhi (1957). Ottenne vasto successo con la serie di racconti Amori ridicoli (1963, 1964) pieni di una ironia corrosiva che sfrutta spunti aneddotici per realizzare radicali paradossi.
Ha debuttato come drammaturgo nel 1962 con I proprietari delle chiavi, ambientato nel periodo dell'occupazione nazi-fascista. Del 1967 è il romanzo Lo scherzo, satira violenta e dolorosa della realtà cecoslovacca negli anni del culto della personalità stalinista. Omaggio a Diderot e al suo "Jacques il Fatalista" è Jacques e il suo padrone (1971) in tre atti. E' stato rappresentato a Paris, Ginevra, Zagabria, ma più che un vero testo teatrale, si tratta di «teatro da lèggere», come avverte lo stesso Kundera nell'introduzione. Lettura irresistibile, degno omaggio al romanzo di Diderot.
Ha pubblicato poi: La vita è altrove (La vie est ailleurs, 1973), Il valzer degli addii (La valse des adieux, 1975), Il libro del riso e dell'oblìo (1978). Storia, autobiografia e intrecci sentimentali si fondono nel romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere (1984) che gli ha dato, anche grazie a una attuazione cinematografica, una notorietà mondiale in quegli anni.
Kundera è stato un importante critico e saggista, ha contribuito a diffondere la cultura e gli autori più interessanti del suo paese nell'occidente europeo.
L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE
L'idea
dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofì
nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come
l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi
all'infinito! Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una
volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è
morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida,
quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non
occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del
quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché
trecentomila negri vi abbiano trovato la morte fra torture indicibili.
E anche in questa guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo,
cambierà qualcosa se si ripeterà innumerevoli volte nell'eterno ritorno?
Sì, qualcosa cambierà: essa diventerà un blocco che svetta e perdura, e la
sua stupidità non avrà rimedio.
Se la Rivoluzione francese dovesse ripetersi all'infinito, la storiografia
francese sarebbe meno orgogliosa di Robespierre. Dal momento, però, che parla
di qualcosa che non ritorna, gli anni di sangue si sono trasformati in semplici
parole, in teorie, in discussioni, sono diventati più leggeri delle piume, non
incutono paura. C'è un'enorme differenza tra un Robespierre che si è
presentato una sola volta nella storia e un Robespierre che torna eternamente a
tagliare la testa ai francesi.
Diciamo quindi che l'idea dell'eterno ritorno indica una prospettiva dalla quale
le cose appaiono in maniera diversa da come noi le conosciamo: appaiono prive
della circostanza attenuante della loro fugacità. Questa circostanza attenuante
ci impedisce infatti di pronunciare un qualsiasi verdetto. Si può condannare ciò
che è effimero? La luce rossastra del tramonto illumina ogni cosa con il
fascino della nostalgia: anche la ghigliottina. Or non è molto, mi sono
sorpreso a provare una sensazione incredibile: stavo sfogliando un libro su
Hitler e mi sono commosso alla vista di alcune sue fotografie: mi ricordavano la
mia infanzia; io l'ho vissuta durante la guerra; parecchi miei familiari hanno
trovato la morte nei campi di concentramento hitleriani; ma che cos'era la loro
morte davanti a una fotografia di Hitler che mi ricordava un periodo scomparso
della mia vita, un periodo che non sarebbe più tornato? Questa riconciliazione
con Hitler tradisce la profonda perversione morale che appartiene a un mondo
fondato essenzialmente sull'inesistenza del ritorno, perché in un mondo simile
tutto è già perdonato e quindi tutto è cinicamente permesso.
Bello, bello, bello !!!.
E pensare che proprio a causa del successo di questo libro in alcuni
ambienti degli anni '80 che non mi piacevano affatto, ho evitato Kundera per
così tanto tempo !
Molto bello e molto "denso", un bellissimo romanzo in cui troviamo
di tutto: una bella trama, una scrittura al limite della perfezione, una
convincente e tutt'altro che superficiale descrizione del dramma ceco, della
Primavera di Praga e del socialismo reale, riflessioni sulle affinità
amorose, sul senso della vita (o forse sui sensi), sull'atteggiamento
dell'uomo nei confronti degli animali e sull'amore verso di essi.
Il tutto descritto con le tecniche tipiche di Milan Kundera, fra cui
l'artificio di mostrare la stessa vicenda amorosa sempre nelle due (o più)
versioni corrispondenti alle parti in causa e l'abitudine di frapporre al
romanzo alcune sue riflessioni di scrittore sul romanzo stesso.
Credo che diventerà uno dei pochi libri a cui dedico pìù di una lettura.
"La sensualità è la
mobilitazione massima dei sensi: si osserva intensamente l'altro e si
ascolta ogni suo suono."